Home-Marcello Raimondi

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La superiorità morale
dell'Occidente
è il ripudio
della guerra

 


Di fronte all’orrore che deflagra dall’Ucraina, ci ritroviamo increduli, impauriti ed impotenti. Ora che il sistema dei media ci fa vedere quello che altre volte occulta, ci sembra impossibile che degli esseri umani possano oggi, dopo tutte le efferatezze del secolo scorso, possano oggi spingersi più in là, uccidere e devastare in nome della pura sete di sangue, accecati da un odio gratuito che non ha nemmeno l’appiglio immorale della vendetta. Che cosa può fare ciascuno di noi per fermare la furia omicida che fa scempio di corpi e città con una volgare naturalezza, celebrando la propria ferocia con un selfie?

Ci sembra di non poter far altro che cedere all’istinto più facile, all’«armiamoci e partite» che trasuda da televisioni e giornali in questi giorni bui. È talmente esorbitante la violenza scatenata dall’invasione russa che è più facile arrendersi subito a chi oppone solo la logica delle armi. Del resto, che cosa faremmo se ci trovassimo nei panni dei poveri ucraini? Se ci venisse incontro una belva cecena e noi non avessimo in mano un kalashnikov per difendere la nostra famiglia?

La prima vittoria della guerra è l’oblio della ragione. Tutto finisce in un vortice di emozioni che portano solo al disastro. C’è un dovere di chi sta in prima linea e un dovere di chi non è sul campo di combattimento. È troppo comodo ragionare «come se» fossimo al fronte, dal guscio tranquillo di uno studio televisivo o davanti a un computer e aizzare gli animi al combattimento e intanto dimenticare i nostri obblighi feriali, quelli che non ci ricoprono di medaglie al valore, ma che costruiscono giorno per giorno un mondo che ripudia la guerra.

Colpisce la lezione che danno i giovani. In un’intervista rilasciata al mensile Eco.Bergamo il professor Ivo Lizzola dell’università di Bergamo dice: «Mi sorprende che i giovani non si pongono il problema tanto del come salvare la propria vita biologica, ma la propria umanità». Questo è il punto fondamentale. Mentre una buona parte del mondo adulto pensa a come punire Putin – senza per altro dirci come, evitando di scatenare una guerra atomica –, i ragazzi di questa generazione spesso villaneggiata capiscono che le guerre si vincono prima di combatterle. Che differenza dalla retorica folle che scaraventa i giovani russi in un’epica «sacrilega» che abbevera con il loro sacrificio l’idolo di una potenza che non ha futuro.

Dobbiamo essere orgogliosi dei nostri ragazzi e imparare da loro. È questo lo scarto morale di quell’Occidente che riempie la bocca dei guerrafondai della domenica.
Se per settant’anni l’Europa occidentale non ha visto sul suo suolo la guerra, non è per l’ombrello atomico o per la marea inverosimile di armi che ha riversato sul mondo. Anzi queste sono i danni che abbiamo provocato al mondo: la spesa per gli armamenti non difende, ma offende, innanzitutto la coscienza di chi la alimenta. La rivolta dello spirito dell'Occidente è maturata alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo nel cuore dell'impero americano, con le proteste di chi non sopprotava il peso della bomba atomica e provava orrore per le guerre che i suoi giovani erano costretti a combattere nel mondo.

Se per settant’anni non abbiamo conosciuto l’orrore che vediamo ora in Ucraina, è per la cura della nostra umanità profonda, per quel cammino di pace che gli uomini europei hanno compiuto accompagnati da una Chiesa che ha saputo scendere dal trono e inginocchiarsi a condividere le ferite a cui troppo spesso ha contribuito. Molti hanno sorriso con sufficienza quando, il 12 aprile del 2019, Papa Francesco si è inginocchiato e ha baciato i piedi dei leader del Sud Sudan che si erano contrapposti in una guerra feroce (400.000 morti), chiedendo loro di «rimanere nella pace».

Il grado della civiltà di cui ci vantiamo sarà misurato se anche noi sapremo «rimanere nella pace» che la coscienza migliore dell’Europa ha costruito sulle macerie della sua furia distruttiva.

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